Che cos’è?
Il deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è un disturbo del neurosviluppo, ovvero una condizione che si manifesta nelle prime fasi della crescita e può interferire con l’evoluzione delle capacità cognitive o delle competenze comportamentali ed emotive.
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Valutazione e Diagnosi
Nella quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM-V) l’ADHD viene definito come una condizione persistente di disattenzione e/o iperattività-impulsività con un’intensità incompatibile con il livello di sviluppo e che ha un impatto negativo diretto sulle attività sociali e scolastiche/lavorative.
La diagnosi di ADHD include almeno sei dei nove sintomi di disattenzione e/o sei dei nove sintomi di iperattività-impulsività riportati di seguito:
Disattenzione:
- Spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro, o in altre attività;
- Ha spesso difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco;
- Spesso non sembra ascoltare quando gli/le si parla direttamente;
- Spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze o i doveri sul posto di lavoro;
- Ha spesso difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività;
- Spesso evita, prova avversione o è riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto;
- Perde spesso gli oggetti necessari per i compiti o le attività;
- Spesso è facilmente distratto/a da stimoli esterni;
- E’ spesso sbadato/a nelle attività quotidiane
Iperattività/Impulsività:
- Spesso agita o batte mani e piedi o si dimena sulla sedia;
- Spesso lascia il proprio posto in situazioni in cui si dovrebbe rimanere seduti;
- Spesso scorazza e salta in situazioni in cui farlo risulta inappropriato;
- E’ spesso incapace di giocare o svolgere attività ricreative tranquillamente;
- E’ spesso “sotto-pressione”, agendo come se fosse “azionato/a da un motore”;
- Spesso parla troppo;
- Spesso “spara” una risposta prima che la domanda sia stata completata;
- Ha spesso difficoltà nell’aspettare il proprio turno;
- Spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti.
La diagnosi di ADHD è in ogni caso essenzialmente clinica e si basa sull’osservazione clinica e sulla raccolta di informazioni fornite da fonti multiple e diversificate quali genitori, insegnanti, educatori.
Il disturbo va sempre differenziato dalla vivacità dei bambini normali, dalle condizioni legate esclusivamente a contesti sociali svantaggiati, ad esperienze traumatiche (abuso, neglect), ad atteggiamenti educativi incongrui e a modelli sociali o familiari fortemente caratterizzati da impulsività. Il consenso e la cooperazione dei genitori sono, d’altra parte, cruciali per la valutazione del bambino in generale, in funzione della comprensione del bambino e degli interventi psicoeducativi e terapeutici.
Non esistono test diagnostici specifici per l’ADHD: i test neuropsicologici, i questionari per genitori e insegnanti, le scale di valutazione sono utili per misurare la severità del disturbo e seguirne nel tempo l’andamento; spesso sono cruciali per individuare eventuali patologie associate (disturbi d’ansia o dell’umore, disturbi specifici dell’apprendimento) e per studiare i meccanismi neuro-biologici che ne sono alla base.
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Qualche numero:
L’ADHD rappresenta uno dei disturbi psichiatrici più comuni tra i/le bambini/e e gli/le adolescenti. Si stima sia presente nel circa il 5% di bambini/e in età scolare e nel 2,5% degli adulti.
Circa il 25-40% di bambini/e con ADHD presenta in associazione disturbi specifici dell’apprendimento o generiche difficoltà scolastiche e difficoltà nella gestione dei rapporti sociali (es. condivisione di giochi con i pari, stringere amicizie) con accumulo di rifiuti da parte dei coetani.
L’ADHD inoltre può spesso presentarsi in associazione ad atteggiamenti di chiusura o propriamente depressivi, sintomatologia ansiosa e a veri e propri disturbi d’ansia, al disturbo ossessivo-compulsivo (con pensieri intrusivi frequenti e duraturi).
In Famiglia:
I genitori di un/una bambino/a con ADHD si confrontano quotidianamente con la sua difficoltà a svolgere una serie di azioni, quali ad esempio stare attento, tenere a freno le proprie reazioni, portare a termine i compiti, ascoltare e seguire le conversazioni, ecc.
Tali difficoltà suscitano nella famiglia una molteplicità di vissuti e sentimenti quali frustrazione, aggressività, impotenza, intolleranza che alimentano un rapporto spesso conflittuale con il/la bambino/a e non lo aiutano a superare le sue problematiche.
A metodi coercitivi possono alternarsi, spesso per demotivazione e stanchezza, momenti in cui i genitori gettano la spugna, nei quali il/la bambino/a ha piena libertà e può comportarsi come vuole.
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Perché?
I fattori che causano l’ADHD non sono stati ancora del tutto stabiliti. Nella manifestazione del disturbo ci sono comunque una serie di fattori di rischio:
- Rischio genetico: testimoniato tra le altre cose dalla presenza frequenta in famiglia di altri casi e dalla forte ricorrenza tra gemelli omozigoti;
- Rischio ambientale: tra gli altri ricordiamo grave prematurità, basso peso alla nascita, feto esposto al fumo o abuso di alcol della madre in gravidanza, severa deprivazione in contesti istituzionali.
Come si interviene
La terapia per l’ADHD si basa su un approccio multimodale che combina interventi psicosociali con terapie mediche. I genitori, gli insegnanti e lo stesso bambino devono sempre essere coinvolti nella messa a punto di un programma terapeutico, individualizzato sulla base dei sintomi più severi e dei punti di forza identificabili nel singolo bambino.
Di seguito un breve riassunto della tipologia d’interventi più frequenti:
- interventi psicoeducativi diretti sul bambino/adolescente: basati su tecniche cognitive e metacognitive tarate per età e focalizzate su riconoscere il problema, generare soluzioni alternative, pianificare la procedura per risolvere il problema; indurre inoltre il bambino/adolescente ad auto-osservare le proprie esperienze e le proprie emozioni, soprattutto in coincidenza di eventi stressanti e, successivamente, aiutarlo ad esprimere una serie di risposte alternative adeguate al contesto;
- parenti training per genitori: è inizialmente composto da 8-12 sessioni settimanali di un gruppo di genitori con un terapista specificamente formato.
Il programma delle sessioni è focalizzato al miglioramento della comprensione da parte dei genitori delle caratteristiche del bambino con ADHD e nell’insegnamento di abilità che permettano di gestire e migliorare le difficoltà che tali caratteristiche comportano.
I programmi offrono tecniche specifiche per guidare il bambino, rinforzare i comportamenti sociali positivi e diminuire o eliminare quelli inappropriati; - interventi di consulenza per gli insegnanti: focalizzati sul comportamento del bambino e possono essere sia integrati nelle routine scolastiche per i tutti gli alunni che focalizzati sui singoli bambini.
La gestione delle attività che coinvolgono tutta la classe iniziano con la definizione e progressivo incremento di attività strutturate che includano modalità sistematiche di ricompensa per le attività /comportamenti desiderati (rinforzo positivo), diminuzione dei privilegi o delle ricompense (costo della risposta) fino al blocco di ogni rinforzo positivo (time-out) per comportamenti non desiderati o problematici; la combinazione di rinforzi positivi e costo della risposta (es; il bambino guadagna ricompense e privilegi per comportamenti desiderati e le perde per comportamenti indesiderati, token economy) risulta in genere particolarmente efficace.
La frequente (spesso giornaliera) comunicazione scritta con i genitori riguardo agli obiettivi e ai risultati dell’allievo, permette ai genitori di confermare premi e punizioni anche a casa; - terapia farmacologica: Il metilfenidato è lo psicostimolante più utilizzato. Questo farmaco inizia a mostrare la sua attività clinica dopo circa trenta minuti dalla somministrazione orale; raggiunge il picco di concentrazione e attività dopo un’ora, la sua attività terapeutica dura circa 3-5 ore.
Il farmaco viene quindi solitamente somministrato 2-3 volte al giorno. Gli effetti del metilfenidato e degli psicostimolanti sul comportamento dei bambini iperattivi sono rapidi e intensi.
Questi farmaci permettono al bambino di controllare l’iperattività e l’inattenzione. Durante l’assunzione del farmaco risultano migliorate le risposte ai test di attenzione (diminuiscono, a seconda delle dosi, sia gli errori di omissione che di commissione/impulsività), di vigilanza, di apprendimento visivo e verbale e di memoria a breve termine.
I bambini con ADHD che assumono questi farmaci sono non solo meno impulsivi, irrequieti e distraibili, ma anche maggiormente capaci di tenere a mente informazioni importanti, di interiorizzare meglio il discorso autodiretto, di avere un maggiore autocontrollo.
Gli effetti collaterali degli psicostimolanti, e del metilfenidato in particolare, sono in genere modesti e facilmente gestibili.
I più comuni sono diminuzione di appetito, insonnia e mal di stomaco: l’insonnia può essere prevenuta evitando le somministrazioni serali, la mancanza di appetito e i disturbi gastrointestinali somministrando il farmaco dopo i pasti.
Quando il farmaco è somministrato correttamente, perdita di peso o ritardo dell’accrescimento, cefalea e dolori addominali sono rari, temporanei e raramente impongono la modifica o la sospensione della terapia.
Per la prescrizione della terapia farmacologica è necessario l’accreditamento a livello delle singole Regioni dei centri autorizzati per il trattamento dei bambini e adolescenti affetti da ADHD.
I compiti principali del centro di riferimento sono quelli di confermare l’ipotesi diagnostica formulata precedentemente dai servizi di neuropsichiatria o da strutture private, confermare o definire il piano di trattamento anche attraverso l’introduzione del trattamento farmacologico, attivare il follow-up dei pazienti che ricevono il trattamento multimodale ovvero l’associazione di trattamento farmacologico e terapie psico-comportamentali.